Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Quando partì, con due segretari, in diligenza, il sole mandava sulla metropoli, come per accrescerne la morbida bellezza, i suoi tiepidi raggi invernali.
     A mano a mano che s'allontanava dal sereno cielo del golfo, tornava in quei viaggiatori viva la stizza per l'incarico ad essi affidato, senza essere stato chiesto.
     A Cajanello, ove pernottarono, trovarono già altro clima, altro colore di cielo e notizie che non confortavano. Neve alta copriva i monti d'Abruzzo, le valli e le strade, e nevicava senza tregua. Molto difficile si presentava, come dicevano i viandanti giunti da quelle parti, il passaggio per l'Altipiano delle Cinque Miglia. Vi erano pericoli di valanghe, di lupi, di briganti. Prima di avventurarvisi conveniva mettersi in pace con l'anima e con le cose terrene. Qualche tempo avanti, una carovana di zingari, era stata soffocata in una stretta, poco dopo Castel di Sangro, da una terribile bufera di neve. Un branco di lupi affamati, discesi dalla Maiella, avevano assalito, nei pressi di Roccaraso, altra diligenza. I briganti vigilavano, torvi, dietro le siepi, lungo la vallata del Pescara.

     Quando si trovarono soli, in un modesto albergo, senza riscaldamento, uno dei segretari disse all'altro:
     "Se San Gennaro mi aiuterà, quando che sia, a tornare a Napoli, mi ritirerò ad oscura vita. Troppo duro è dure il pane della schiavitù. E poi perché scegliere me, quando a tanti altri, ambiziosi e venali, sarebbe stato di particolare gradimento un tale incarico? Anche a tormentare il prossimo è par molti gioia".


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Umberto