E a Rocca Santa Maria, dopo non molto, Santuccio, rimasto solo, sbaragliò con la sua banda i quattromila governativi lanciatigli contro, catturando un convoglio di viveri che andò ad arricchire le proprie scarse provviste. In seguito, insieme al Colranieri, disceso da Poggio Umbricchio, andò a fugare gli iberici da Montorio.
Le truppe pontificie, prudentemente, non s'erano mosse dalla fortezza di Civitella, occupata nel loro giungere.
Il borioso Torrejon, rientrato sconfitto, disse in un'altra riunione:
"Sono confuso e insieme meravigliato, amici. Non credevo che i banditi avessero tanto ardimento e capacità, senza difettare di spirito di cavalleria. Non hanno incrudelito contro i prigionieri, anzi li hanno restituiti senza offenderli. Hanno curato i feriti, seppelliti i morti con cristiana pietà. E' un vero peccato che gente così brava viva fuori delle leggi. Coloro che si adoperassero per il loro ritorno nell'ordine dello Stato, acquisterebbe diritto alla più viva riconoscenza, da parte di tutti.
Le parole questa volta erano state più serene, nessuno, quindi, dei presenti, mosse obiezioni. Ma mentre a Teramo gli spagnuoli piangevano sulle sconfitte, a Poggio Umbricchio si festeggiavano le ultime vittorie.
Si iniziava la festa, come a Rocca Santa Maria, con una messa celebrata pure da padre Fulgenzio, nella piccola chiesa, scavata in roccia. Il dotto religioso, spiegando l'evangelo, aveva modo di esaltare, con la dottrina cristiana, l'amore che si deve nutrire per il prossimo, per la famiglia, per la patria. E diceva che era sempre grande questa nostra Italia, anche nella sventura. Grande perché aveva dato, con l'impero di Roma, nuove leggi e nuova civiltà al mondo. Grande perché aveva accolto nella sua capitale il Vicario di Cristo, illuminando con immensa luce la via della redenzione. Grande perché aveva elargito nel medioevo, con il divino genio, nuove bellezze all'ansiosa umanità.
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