Si compiacque, inoltre, per la severa lezione inflitta agli spagnuoli, profanatori, con tutto il loro bigottismo, del vero tempio di Dio. Si compiacque soprattutto per la nobile condotta tenuta nei loro confronti, dopo la vittoria.
Non bisognava mai incrudelire sui vinti, mai spargere sangue per brutalità.
Si trascorse la giornata in serena gioia. Si cantarono in coro i canti sgorgati, come fresche polle, dall'anima popolare e si ballò. Grossi fuochi s'accesero pure la sera, come per san Giovanni, su quel fatidico poggio.
Si chiuse la festa a tarda ora, con un inno di ringraziamento alla divinità, verso la quale rivolsero fiduciosi il loro ultimo pensiero.
"La Spagna dimostrerà tra breve, anche ai banditi del Martese, la sua decadenza!" così, con velenosa ironia, il preside Torrejon aveva detto a Teramo.
Pareva che questa volta, con la nuova offensiva, volesse giungere a risultati conclusivi. Nel mentre da una parte allargava la distruzione, dall'altra apriva strade, costruiva ponti, spianava ostacoli per il passaggio delle truppe e delle armi. Se fosse riuscito a portare i cannoni, temuti dai banditi, nel cuore della montagna, la partita, secondo lui, sarebbe stata vinta.
Ma altro lavoro condusse lo scaltro Torrejon, forse più proficuo, presso quelle bande disposte a vendicare col tradimento l'impiccagione di Sciacqua di Montepagano e di Carlo Vitelli. Aumentò nel medesimo tempo le taglie, che pesavano sulla testa dei capi.
Anche i nostri, che seguivano con molta attenzione i forti preparativi, non stavano in ozio.
|