Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     E la lotta fu ripresa, poco dopo, con la massima durezza. A un certo momento le bande, per meglio sconcertare il nemico, si dettero alla insidiosa guerriglia.
     Comparivano improvvisamente a Pescara, a Montesilvano, a Città Sant'Angelo e in altri centri. Così tutti i giorni. Titta rimase però con i suoi a Poggio Umbricchio, a protezione delle famiglie che vi si trovavano.
     I governativi anche essi, per sottrarsi ai continui agguati, dovettero cambiare tattica. Costituirono reparti speciali, da mandare contro i capi, per la loro eliminazione. Una notte, invero, avvolsero, in silenzio, Cerquito, ove si trovava, con la sua banda, Santuccio. In sul far del giorno il cerchio si poteva considerare chiuso, inesorabilmente.
     Nel medesimo tempo, un corpo di calabresi accerchiarono, a Villa Lempa, la banda di Salvatore Bianchini.

     Molti erano stati i tentativi di Santuccio per rompere il cerchio, che lo serrava da ogni parte, ma senza riuscirvi. Vedeva già lugubremente la sua fine. Il Torrejon, con i mezzi che aveva, non si sarebbe fatto più sfuggire la preziosa preda, che doveva dare fama al suo nome, ricompensa alla sua opera. Ma il Bianchini, rotto con impeto irresistibile la propria rete, accorse a liberare dalla ferrea morsa lo sventurato compagno. Ricongiuntisi festosamente misero in fuga le truppe spagnuole.
     Gli sconfitti non ripresero fiato che a Teramo. Non poté in tal modo il Torrejon, che comandava la spedizione, comunicare a Napoli, come aveva sperato, la vittoria. Per qualche giorno, nella sua avvelenata mortificazione, non si fece vedere. Ma la lotta non finì a Cerquito. Si riaccese più violenta, poco dopo, attorno a Poggio Umbricchio, a difesa della quale stava sempre il Colranieri, altra preziosa preda.


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Umberto