Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     "Il giorno ultimo fissato per la nostra partenza è scaduto da ieri. Gli altri sono andati; io sono rimasto. Non sentivo di poter passare il confine senza prima averti rivista, Barbara", le disse Santuccio, è continuò. "I miei sentimenti per te sono sempre quelli che ti ebbi a manifestare, con parola velata, nella fresca mattinata di maggio. Il bandito feroce aveva strappata l'anima, per il canto, all'usignuolo che gorgheggiava nella siepe di biancospino. Gli eventi si susseguirono dopo con la volubilità delle leggi umane.
     Parto con la ferma speranza di ritornare un giorno e con un nome che non deve più spaventare. Di là di noi vi è la storia con le sue esigenze, vi sono i figli con i loro diritti.
     Spesso penso alle ragioni che mi indussero a tornare alla montagna, quando sarei potuto rimanere a godere in questa casa le promesse della vita. Non si confaceva la quiete al mio carattere; ma sopportava la soggezione al dominio straniero.

     Dopodomani all'alba lascerò, per la nuova vita, le nostre montagne. Se non vi dovessi tornare io, spero di farvi tornare, per te per i figli e per la storia, il mio nome purificato dal fuoco della gloria."
     Nella notte stessa, nel distacco doloroso, Santuccio tornò alla sua banda e sull'alba si mise in cammino verso il nuovo destino.
     Calava così il sipario sull'ultima scena del dramma del banditismo abruzzese, nel teatro di terra d'Abruzzo.
     E calava il silenzio sulle valli e sui boschi. Festa era per gli iberici e per i loro satelliti; lutto per gli altri. Ne era addolorata la buona gente della montagna, dai banditi sempre aiutata. Ululava il lupo addomesticato; urlava l'aquila che scendeva invano dalle cime delle rocce, non trovando più da rifocillarsi, negli accampamenti deserti.


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Umberto