Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     "Tutto bello, meraviglioso", rispose Santuccio. "Noi, in verità, gente della montagna, non avevamo mai assistito a simili spettacoli. D'altro genere sono le nostre rappresentazioni musicali di chiesa.
     Diteci: quali le ragioni di tutto l'artificioso scintillio di orpelli, di luci e d'inganni? Non lo comprendiamo. In altro modo si vive nella nostra terra."
     "Non so che rispondervi. Noi certo armonizziamo, fatalmente, con le mollezze delle acque, che teneramente ci cullano; con la schiuma delle onde che s'infrangono musicalmente intorno alle nostre case; con la luce che avvolge, tenuamente, il nostro essere. Subiamo la magia della laguna."
     "Diteci ancora: chi è colui che apparso nel palco di centro, tutto il teatro ha ossequiato?"
     "E' il doge Francesco Morosini, colui che nella qualità d'ammiraglio ha vinto tutte le battaglie combattute contro i turchi.

     E' un'autentica gloria, che tutto il mondo ci invidia. Gloria latina che combatte con cuore italiano, per uno Stato italiano.
     Se i nostri uomini, seguendo i decadenti costumi, mettono anch'essi parrucche e cipria, sanno però combattere e morire per i santi umani ideali."
     S'alzo intanto il sipario, si sospesero i discorsi, continuò la rappresentazione.
     Continuarono i pretuziani nelle segrete considerazioni. Quanta diversità di vita dall'una all'altra regione! Nelle loro montagne, a quell'ora non si vedeva, nella profondità del cielo, che lo scintillio tremulo delle stelle; non vi si udiva altra musica che quella delle acque e dei boschi. Teatro anche quello ma che aveva per attori e spettatori pastori intabarrati di pellicce di capre; boscaiuoli incipriati anch'essi ma della cipria sprigionata dalle affumicate carbonaie.


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Umberto