E il Doge di Senarica? Vestito pure lui dei ruvidi panni dei pastori.
Alla fine dell'opera si ritirarono nel loro alloggio con l'animo turbato. Tornava sempre alla loro mente, specialmente nelle feste, la cara terra natia che forse non avrebbero più rivista.
Il sole, nella calda stagione, incendiava al tramonto la laguna quando i veneziani s'erano raccolti sull'ampio molo in gran numero per salutare i pretuziani alla partenza. Secondo le simpatie e le amicizie erano stati formati, qua e là, gruppi per gli ultimi discorsi, per gli auguri e le promesse. Vi era anche Balbina che parlava, afflitta, con Centiolo.
"Noi ci rivedremo, non è vero cugino?"
"Ci rivedremo se lo consentiranno, ripeto, gli eventi. Rivederci poi perché? Ci siamo incontrati come si possono incontrare su una strada assolata due viandanti che percorrono opposto cammino. Riposano per un momento insieme, come in una piccola casa, nel fresco boschetto; si parlano con affettuosa ansia, si confortano. Riprendono più tardi, ognuno per proprio conto, il fatale andare, scomparendo in lontananza come inghiottiti da una voragine. Mi è sempre caro a ogni modo di aver conosciuta, nella città meravigliosa, una così simpatica cugina."
"M'aspettavo da te altro linguaggio. La giovinezza sogna sempre festa di fiori, vermiglie aurore. Anch'io ho sognato."
"E' bene cugina rimanere nel sogno, tanto più che in fondo alla mia meta vi potrebbe essere non l'aurora ma il tramonto."
Il piccolo idillio si concluse nelle lagrime. L'ora della partenza giunse. I veneziani mandarono commossi con i fazzoletti gli ultimi saluti al naviglio che s'allontanò a vele spiegate verso la Dalmazia.
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