Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Eterno contrasto di grandezza e di miseria in questa benedetta razza latina. Un Francesco Ferrutti trovava sempre, sulla sua via, un Fabrizio Maramaldo.



     Nell'entusiasmo di quella lettera a Campli si concordava un pellegrinaggio, quasi religioso, per Poggio Umbricchio.
     La comitiva, condotta da Cinzia e da Barbara, partita di buon mattino, faceva la sua prima sosta a Rocciano, ove trovava larga ospitalità. Cinzia e Barbara erano accolte nell'antica famiglia degli Spinozzi.
     In sulla sera andarono a sedere, con la giovane signora che le ospitava, in un'aia, dinanzi alla quale s'apriva in tutta la sua bellezza l'ampia vallata del Tordino.
     "Quadro magnifico", esclamò Cinzia, scossa d'ammirazione. "Sembrano quei villaggi in vista branchi di gregge, tuffati in godimento nella verde vegetazione. Su quel cocuzzolo è Frondarola, non è vero?"

     "Si, Frondarola col suo aguzzo campanile. L'altro più lontano, sotto i monti, è Valle San Giovanni, covo sino a poco tempo fa di banditi. Quanti conflitti, quanto inutile spargimento di sangue! Tempi terribili."
     "Avevate paura dei banditi?"
     "Terrore più che paura. Non a torto. Neppure in casa si era sicuri. Feroci erano negli istinti e negli atti."
     "Ne siete sicura?"
     "Sicurissima. Ascoltate. Un giorno io e i miei ci mettemmo in cammino per andare a visitare a Frondarola un parente malato. Pareva che tutto fosse tranquillo. Passato il punto in cui si distaccano i due valloncelli, l'uno scendente verso il Tordino, l'altro verso il Vomano, entrammo nel bosco. Guardando avanti vedemmo penzolare da due alberi due figure umane, attorno alle quali gracchiavano a stormo i corvi.


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Umberto