Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Le ore in lieta compagnia volano. Cala la notte. Suona l'Avemmaria. Andiamo ché la cena ci aspetta."
     "La bellezza s'unisce sempre alla bontà. Quantunque abbiamo le provviste per il viaggio non possiamo ricusare invito così cortese. Vostro marito?"
     "E' a Teramo. Tornerà tra due giorni. Abbiamo laggiù amici e parenti che molto nel passato ci aiutarono. Essendo Rocciano sul confine della lotta, nel sospetto dei favoritismi, eravamo minacciati dagli uni e dagli altri. E i vostri mariti"!
     "Bravi anch'essi, ma sono lontani."
     "Lontani e scrivono."
     "Scrivono! Che cosa scrivono?"
     "Un giorno lo saprete. Ora è bene che rimanga un segreto."
     "Non insisto. I segreti sono sempre sacri."
     E andarono chiacchierando piacevolmente a cena, dopo a dormire.
     Il giorno seguente, ascoltata la messa nella piccola chiesa, la brigata riprese lentamente il cammino.




     CAPITOLO DODICESIMO

     "Gente numerosa sale la valle, Rossana. Chi può essere?"
     "Pastori, senza dubbio, che tornano dalla pianura per i pascoli estivi."
     "Non sono pastori. Non si vede la gregge. Non abbiamo noi pastori che vanno nelle Puglie."
     "Allora sono banditi."
     "No, no. Neppure banditi. Quelli che non sono a Venezia, sono nella darsena di Napoli a espiare i loro peccati: in terra prima, dopo all'inferno. Qui non torneranno più. Ci voleva proprio il viceré marchese del Carpio per estirpare una così cattiva erbaccia, fortemente radicata sui nostri monti. Era davvero per noi una vergogna. Abruzzo, terra di briganti."
     "Se ci udisse Giancarlo de Adamnis o quel frate Fulgenzio! E se tornassero?"


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Umberto