Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Noi come ci chiamiamo? Cinzia io, Barbara la mia amica. Non abbiamo molti titoli, ma non siamo del volgo."
     "E' manifesto. I vostri mariti?"
     "Lontani, per la vita di Venezia, per la difesa di Roma, per la gloria d'Italia. Ma diteci: non avete altro da raccontare di questo poggio?"
     "Sì, purtroppo. I banditi, occupandolo, ne avevano fatto, qualche anno fa, la loro roccaforte. Qui, negli ultimi anni, opposero alle truppe del gran re, nostro signore, una resistenza degna di miglior causa. Le donne, loro mogli, come si racconta, non furono nell'ardimento inferiori agli uomini. Sapete chi però ebbe soprattutto a pagare le spese? Proprio noi, avendo trovato, nel tornarvi, tutto distrutto. Si salvò tra tanta rovina, come un miracolo, la sola piccola chiesa che è qui sotto, loro ultimo rifugio."

     "Lo sappiamo."
     "Come fate a saperlo..."
     "Ve lo diremo. Quale concetto avete di quelle donne guerriere?"
     "Lo stesso concetto che abbiamo dei banditi loro mariti. Donne diaboliche."
     "Quale concetto avete di noi?"
     "Non mi sembrate donne comuni."
     "E' vero. Noi siamo appunto quelle donne che combatterono su questo poggio per una idea santa. Noi siamo mogli di quei banditi che ricordando di essere romani, non intendevano vivere da servi.
     Banditi i soli che, nella loro libertà, tennero alto e acceso lo spirito guerriero; alta la dignità italiana.
     Banditi che mentre gli altri imputridivano nell'oziosa viltà, corsero a difendere, con il sangue, la civiltà latina e cristiana.
     Ecco chi erano i banditi che combatterono su questo poggio.


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Umberto