Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Concludeva col dire che l'umanità non era che un mare in movimento, con qualche bonaccia, con molte tempeste.
     Dopo la cena il sonno cadde sulla valle, sul castello, sugli uomini.



     Cinzia e Barbara rientrarono a Campli, dal mistico pellegrinaggio, dopo qualche giorno.
     Giunse, intanto, altra lettera di Santuccio ad annunziare, col consueto entusiasmo, altre vittorie sui turchi.
     Gli amici, come al solito, corsero a darne notizia al buon de Adamnis.
     "Non ho mai dubitato del valore dei nostri", egli disse. "Soltanto i pusillanimi, nel cuore dei quali nessuna luce mai di vita e di bellezza palpita, ne potevano dubitare.
     - Giova il sacrificio? - mi si potrebbe domandare. Senza dubbio. Quando nell'autunno si spande a larghe mani il seme sembra che la terra non se ne accorga. L'inverno che segue, pare, a sua volta, che con le gelide bufere tutto sommerga e distrugge. Squallore regna nei campi.

     Ma la natura non fa che svolgere, nel suo segreto, le eterne leggi, i suoi mutevoli eterni cicli. Muore nella neve ma per risorgere più bella in ogni primavera novella.
     L'Italia, con Roma, secondo i decreti ignoti, toccava l'apogeo della sua grandezza. L'Italia, con Roma, tornerà a risplendere, con la fatalità, nel tormentato buio del mondo.
     Allora nessun piede straniero calpesterà più, burbanzosamente, questa terra sacra alla divinità.
     In Dalmazia i nostri spargono col sangue quel seme che, come quello del buon agricoltore, dovrà rigogliosamente fruttificare nei secoli futuri.
     Non deludono le leggi che regolano le vicende del mondo e della vita.


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Umberto