Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Non deludono, purtroppo. Sulla mia casa, afflitta dal più crudele inverno, non tornerà più a risplendere la primavera; nessuna luce potrà più diradare le tenebre dalle quali è stata d'improvviso avvolta; nessuna fiamma potrà riaprire il cuore della speranza.
     Sono ormai un uomo finito, amici. La mia anima, già tanto vigorosa, sanguina senza possibilità di guarigione. Sono ormai anch'io, come la mia compagna, sulla via che conduce al regno del silenzio. Io presto me ne andrò. Ma voi, come sacro dovere, dovete rimanere; dovete lottare; dovete vincere per godere quel poco che è dato godere su questa dolorosa valle, raramente illuminata da squarci azzurri di cielo."
     Gli amici lo ascoltavano con profonda pietà. Molte ore liete avevano trascorse in quella casa, illuminata dalla grazia d'una dolce donna, che incoraggiava a vivere e a sperare. Era ora trasformata in un buio luogo di dolore e di pianto.




     CAPITOLO TREDICESIMO

     Giulio a Cinzia:

     "L'ansia degli eventi di guerra, come già ti dissi, mitiga in qualche modo la pena della lontananza. Già più anni sono passati dalla partenza, pure queste montagne che molto somigliano alle nostre, hanno avuto il potere di farci vivere in una continua cara illusione. Vi abbiamo condotto, d'altra parte, la stessa vita di movimento e di lotta. Allora avevamo di fronte gli spagnuoli, miti piuttosto; ora i turchi, generalmente brutali. Non ti spaventare, ché noi, con la nostra speciale tattica, li abbiamo nei combattimenti sempre sconfitti. Ma la partita non è ancora chiusa. Essi rumoreggiano ancora intorno a noi; noi non abbiamo ancora scritto la nostra vera pagina.


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Umberto