Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Mentre Santuccio parlava il messo di Venezia ne osservava le fattezze, i lineamenti regolari del volto bruno, ornato da due piccoli baffi e da occhi grandi e neri, melanconicamente velati.
     Ma osservava pure il Montecchi, dal volto simpaticamente pallido, dagli occhi espressivi, dalla ricciuta capigliatura, che ascoltava raccolto e pensoso.
     Sotto quell'apparente mitezza leggeva però la forza dei propositi, la fierezza della robusta razza alla quale essi appartenevano.
     Da tutto ciò deduceva che quei capi, con le loro bande, avrebbero assolto con onore il duro compito ad essi assegnato.



     I turchi, mentre a Spalato si parlava e si pensava, s'erano già messi in movimento per la conquista della Dalmazia e di altre terre. E invero il giorno dopo entrava nel porto, a vele spiegate, una galeotta che portava il seguente urgente ordine:

     "I turchi hanno già iniziata la grande offensiva. Superata la catena delle Alpi Dinariche e vinta la prima debole resistenza si lanciano alla conquista dei monte Gandi. Momento molto pericoloso. Vi è stata già inviata da Sebenico la banda del capitano Titta Colranieri. Le bande dei capitani costì ferme, sulle quali si fa sicuro assegnamento, appena giunto il naviglio già inviato, dovranno partire, per la difesa dei monti Santo Stefano e San Salvatore, seriamente minacciati.
     Si diano chiare istruzioni e sicure guide."
     Gli eventi precipitavano. Dopo gli accordi i pretuziani mossero, ordinati e composti, accompagnati dal saluto e dall'augurio della cittadinanza, schierata lungo il passaggio, verso le navi, sulle quali subito s'imbarcarono.


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Umberto