Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Coraggio, Giulio. Anch'io, tu lo sai, amo la mia Barbara e ci scambiammo affettuose lettere; ma non mi lascio vincere dallo scoraggiamento. Sarà di noi quel che sarà. Se fummo banditi, non fummo predoni. Cercammo sempre di difendere, nella libertà, le ragioni sante d'Italia. Qui abbiamo dimostrato di essere soldati di fede e d'onore.
     Molto abbiamo già fatto; molto certo dobbiamo ancora fare. Su uno di quei monti affidati a noi dalla città che sorge dal mare, in cui i maomettani troveranno la loro tomba, s'eleverà la colonna che dovrà proiettare nel tempo la luce eterna della gloria."
     "Santuccio, hai gettato un fascio di luce sull'oscuro enigma del mago di Nepezzano. Hai ripetuto, con medesimo senso profetico, quasi le stesse parole. Su quella colonna dovranno essere incisi molti nomi; uno a grandi caratteri. Di chi sarà quel nome?

     Le notti della montagna, con le ombre e i misteriosi suoni, ci conducevano a vivere quasi fuori del senso della vita. Anche questa notte, che vivissimo nel sospiro largo del mare, sconvolge la mia anima.
     Santuccio, quel nome forse sarà mio."
     "Perché dovrà essere tuo, Giulio? Potrebbe essere, se mai, mio; potrebbe essere di Titta. Ma basta con questi discorsi cupi come la notte che ci circonda. L'aurora non lontana rinfrancherà i nostri spiriti. Noi andiamo verso la vita che non tramonta, non verso la morte."
     Intanto si presentò ad essi il comandante della galea, al quale Santuccio, per iniziare una conversazione qualsiasi, domandò se era molto tardi.
     "Le stelle, nel loro eterno regolare movimento, dicono che si è superata di tre ore la mezzanotte."


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Umberto