Il vice comandante Biasiolo, nel buio della notte, esponeva a Santuccio le notizie raccolte durante la sua assenza su le grosse colonne di maomettani in marcia d'avvicinamento.
"Domani, comandante", aggiunse, "tutti vedranno il sorgere del sole, non tutti vedranno il tramonto. Gli infedeli, con forze fresche, si lanceranno feroci per la rivincita.
Alla nuova notte sarà commesso l'ufficio d'avvolgere i corpi degli eroi col suo morbido mento. Io sarò forse nel numero di costoro."
"Curioso. Tutti siete angustiati dal presentimento della morte. Non è da buon soldato. Anch'io ho persone care, ma non mi lascio vincere, in questo momento, dagli affetti che mi legano alla vita.
Andiamo. Le nostre scolte potrebbero chiamare alle armi. Il chiarore dell'alba annuncia il giorno e non lontana la lotta."
"Comandante, tu sei forte e capace, tu sei il capo di tutti noi, il nostro padre. Comandante, ho un segreto, che debbo rivelare, che a te solo posso confidare."
"Ma è questo il momento di parlare di segreti? Potresti pentirti di averli svelati innanzi tempo. Me ne parlerai, se ancora sarà il caso, dopo la vittoria."
"Ma io debbo parlare; è necessario. Non troverei pace se scendessi nel sepolcro con questo segreto. Ti prego. Ascoltami."
"Non vi è più tempo. Le scolte chiamano con i segnali dell'urgenza. Corriamo al combattimento."
I maomettano erano già in vista, numerosi, a falangi serrate, per l'urto decisivo. Ma l'urto, quando fu compiuto, trovò dinanzi a sé il vuoto, ché i pretuziani, secondo la loro tattica, s'erano sparsi qua e là, nella foresta. Capirono però sin dall'inizio che questa volta sarebbe stata ardua l'impresa di disfare le orde che inesorabilmente avanzavano verso le cime. Nelle loro vicinanze la lotta diveniva a mano a mano furibonda. Cadevano tra urli, imprecazioni e colpi di archibugi e di scimitarre, gli uni sugli altri.
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