Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


Pagina 123
1-10- 20-30- 40-50- 60-70- 80-90- 100-110- 120-130

[Indice]

     Durava la mischia già da tempo senza che accennasse a esaurirsi, quando dalle nubi che coprivano il cielo sfolgorarono d'improvviso vividi lampi. Rintronò il fragore del tuono. Si scatenò più tardi, con grandine e folgori, l'ira degli spiriti infernali. Urlava il vento, sinistramente, nella foresta; scrosciava l'acqua giù per i valloncelli; urlavano imbestialiti gli uomini; falciava la morte.
     I pretuziani, abituati nei loro monti a quegli uragani, non s'avvilivano; i maomettani, forse a essi nuovi, ne erano depressi, ma non cedevano. La lotta diveniva, nella furia, un corpo a corpo. E i corpi, avvinghiati in strette mortali, ruzzolavano giù per la china, quando non erano trattenuti dagli alberi; la grandine colpiva i corpi; l'acqua lavava il sangue.

     Pareva che l'ira del cielo e l'ira della terra ubbidissero, ciecamente, alle occulte forze sterminatrici.
     Ma l'ira a poco a poco diminuiva la sua rabbia, la grandine la sua caduta, il tuono il suo fragore. Si affacciò più tardi, sul tramonto, dagli squarci delle nubi, pallido nella sua mortificazione, l'astro della luce.
     Con il calar della notte si sospese la lotta. Non era possibile, nel frammischiamento, continuarla. Gli uomini passarono ancora, tra gli alberi, da un punto all'altro, come fantasmi. S'udirono ancora, sotto i passi, scricchiolii di sterpi, fruscii di frasche e di foglie, rotolamenti di sassi, qualche folata di vento e poi silenzio.
     Era discesa cupa la notte, ma nel cielo, tornato sereno, dopo la tragedia, fiammeggiavano con luce più viva le costellazioni. E nel fitto delle ombre, in quel bosco, uomini di due razze, di due civiltà, di due credenze vegliavano torvi, col cuore gonfio di odio, pronti a scagliarsi nuovamente, per la distruzione, gli uni su gli altri.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]

Umberto