Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Speranza non per loro che la povera vita, compiuta la sua parabola, scendeva inesorabilmente nella fossa del disfacimento. Speranza per la patria, realtà viva e indistruttibile, a favore della quale i pretuziani delle tre bande avrebbero saputo ancora versare, senza risparmio, il loro sangue.
     Tra i caduti apparve il giovane Biasiolo, che aveva combattuto come un leone. Santuccio rimase a lungo, pensoso, dinanzi al suo corpo esanime.
     Un altro dei suoi valorosi se ne era andato. E portava con sé, il povero Biasiolo, nella fossa che si sarebbe tra poco aperta per lui in quella stessa foresta, il suo segreto.
     Quale? D'amore, forse. Forse d'odio e di morte. Ma quella tomba, come tutte le tombe, avrebbe conservato in sé il suo segreto.



     Mentre gli eventi di sangue e di gloria si compivano in Dalmazia, il buon de Adamnis, vinto dal dolore, in un luminoso tramonto, forse assistito dallo spirito della soave compagna, reclinò il campo al sonno dell'eternità.

     Reclinò il capo mentre sospiravano in giardino i fiori, stormivano nella campagna gli alberi, piangevano sui tetti i passeri amici. Sentivano forse essi, con il lamentevole pigolio, di non avere più il loro protettore. Anche le rondinelle, che nidificavano in soffitta indisturbate, spinte forse da misterioso istinto, s'affollarono attorno alla casa in lutto.
     Per onorare la sua santa, che sentiva viva nella sua anima, aveva ornata la casa e le sue immagini di fiori, coltivati in quel giardino nel quale avevano trascorse tante ore felici.
     Nelle notti serene rimaneva a lungo, con lo spirito separato dalle miserie della terra, a contemplare le stelle, nella profondità misteriosa del cielo. Pareva come se ricercasse in qualche costellazione, l'anima gemella.


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Umberto