Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Ed ora anch'egli era volato, nelle alterne vicende, nelle alte regioni senza confine.
     E la casa, già piena di luce, era rimasta freddamente vuota.
     Vivo il compianto, accorato l'addio degli amici a quella figura nobilissima, che aveva insegnato con l'esempio la pratica delle virtù, inspirate dal cielo.



     CAPITOLO QUATTORDICESIMO

     La notizia della disfatta degli ottomani nel territorio di Citelut, a opera degli aprutini, corse in un baleno in tutta la Dalmazia e oltre, destando ovunque fiammate d'entusiasmo. A Venezia il popolo, ancora sotto l'incubo della minaccia maomettana, dalla laguna tutta accorse in piazza San Marco per sciogliere la sua gioia in una grandiosa manifestazione di gratitudine.
     I pochi abruzzesi che vi si trovavano, facilmente riconoscibili, erano festeggiati con commoventi dimostrazioni di simpatia.

     Anche Balbina, nella esuberante giovinezza, apparve in piazza particolarmente lieta. Ignorava la poveretta la fine eroica del cugino Centiolo, oggetto di cari sogni.
     Il Doge a sua volta, nella pienezza della gioia, sentì il dovere d'unirsi al pubblico gaudio. Promise, tra l'altro, di inalzare sul luogo delle gloriose gesta, a nome della Serenissima, per la consacrazione dell'evento, una colonna di marmo con i nomi dei caduti.
     La sera, mentre le campane suonavano a festa, i canali della laguna, con una grandiosa luminaria, assunse un fantastico aspetto.
     Mentre la festa continuava a Venezia, a Campli, dove la buona notizia non era ancora giunta, Barbara leggeva agli amici altra lettera del suo Santuccio, nella quale tra l'altro era detto:


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Umberto