Non posso quindi non approvare il consenso paterno, ma nel medesimo tempo non posso, fratello, spegnere la fiamma che misticamente arde nel mio cuore.
RAINALDO
L'epopea dei conti di Pagliara, di questa antica famiglia, va in tal modo verso l'ultimo canto, canto illuminato perņ dalla luce della fede che mai tramonta.
(Si riode il suono dell'arpa, che taceva. Berardo e Rainaldo, in dominio di melanconici pensieri, chinano, commossi, il capo)
CALA LA TELA
A T T O S E C O N D O
SCENA PRIMA
(Nella sala del primo atto. La contessa, seduta presso un tavolo, legge in una pergamena. A un lieve rumore si volta e vede avvicinarsi, mesto, Berardo)
BERARDO
Madre mia, mia dolcissima madre!
CONTESSA
Berardo... figliuolo mio caro... Leggo nel tuo volto i segni di una profonda sofferenza...
Oh! se potessi toglierti dal cuore ogni pena e ridarti il sorriso della spensierata fanciullezza. Ma come posso liberarti dal tormento del tuo spirito?
BERARDO
Col comprendere il mio stato e col dirmi la tua parola di conforto. Il padre, e ciņ maggiormente mi addolora, continua a guardarmi con aria di rimprovero.
CONTESSA
Non per malanimo. Egli, come legge sacra, considerava in te l'erede che doveva raccogliere e tramandare ai tardi nepoti il nome dell'antica casata dei Pagliara. Tu, invece da altro spirito mosso, cammini verso altra meta.
BERARDO
E' vero, e al rimprovero paterno sembra che altre voci giungono a me, come provenienti dalle tombe degli avi. Ma mentre, in pena, ascolto quelle voci, altra voce di ben altra forza giunge pure a me a rasserenare, a pacificare, a placare il tormentato mio spirito.
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