Nel momento di partire non poteva non avere dinanzi a sé, con l'animo in tumulto, che la visione di un paese sconosciuto, di gente nuova, in una nuova vita.
La nostra famiglia, in cammino con molte speranze, giungeva da Foggia in vista dell'Adriatico, mentre sorgeva dall'acqua, che palpitava, scintillante e maestoso, il sole, regolatore del tempo, confortatore delle anime in pena. Quell'Adriatico, su i fremiti del quale correvano, vicino e lontano, vaghe come farfalle, le vele ardite dei pescatori.
Da Giulianova proseguivano il viaggio per Teramo in carrozza, non essendovi ancora il treno. L'incontro con i familiari non era molto festoso. La madre, donna Doralice, che pur si trovava dinanzi ad una bella nuora e nobile, e a due vispi nipotini, uno dei quali portava il nome dello scomparso compagno, conservava un contegno riservato, se non freddo.
L'inizio non era lieto, ma non aveva importanza. I nostri proseguivano, per vivervi soli, verso la fonderia di Rocciano. Là, donna Maria Carolina dei duchi di Castelnuovo, aveva un'altra delusione. Non vi erano attorno all'abitazione occupata da lei, modesta essa stessa, che poche case rustiche; non vi si vedevano che i contadini, che lavoravano nelle vicine campagne; non vi si udiva che il rumore uguale, monotono dei magli della fonderia, che era nel basso, nella valle, sulle rive del Tordino. Non poteva scambiare parole, in un dialetto che non capiva, che con la famiglia di Candeloro Broccolini, la più vicina e la più civile.
Intanto la notizia dell'arrivo dalla Campania di questa signora correva nella contrada. Giungevano, a mano a mano a visitarla, dai vicini villaggi, molte famiglie. La visitavano: da Rocciano alto donna Francesca Spinozzi, signora anch'essa, bella e simpatica, nata Sciarrone, di Mosciano San'Angelo; da Frondarola la signora D'Antona e la signora del farmacista Tobia Mattucci; da Villa Ripa le signore Guerrieri di Di Bartolomeo.
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