Giuseppe Adamoli conclude la serata, al di là di ogni sua immaginazione, nella camera del custode maggiore delle prigioni centrali di Teramo, a riflettere nella notte insonne alle possibili conseguenze di quel pasticcio. La moglie Doralice Strina lo aspettava nella loro casa insieme ai cinque bambini. Qualcuno la aveva avvisata di ciò che era successo? La preoccupazione più grande di Giuseppe era proprio per la famiglia. Cosa sarebbe accaduto se la sua detenzione si fosse rivelata di lunga durata? Era giunto a Teramo solo da qualche mese, con il completamento della costruzione della Rameria di Villa Tordinia, ed era ai più sconosciuto: inoltre il suo accento lombardo aveva forse accresciuto la diffidenza dei gendarmi, sempre all'erta nel tentativo di scovare qualche emissario politico.
Aveva qualcosa da temere Giuseppe? Negli ultimi dieci anni aveva onestamente e duramente lavorato a Chiarino di Tossicia, nella rameria dei Marconi, dove era giunto nel 1846 con moglie e due figlioli in tenerissima età. Ma forse a renderlo inquieto era il ricordo dei quattro anni intensi e significativi da lui trascorsi a Tempera, nell'aquilano, dove era giunto nel 1842: l'incontro con la famiglia Strina, la conoscenza di Doralice, il respiro dell'intenso clima risorgimentale nella casa di questi ascolani trapiantati in Abruzzo, il matrimonio, i figli, e la bufera giudiziaria abbattutasi sui cognati. Il suo pensiero doveva essere andato anche ai lunghi anni della giovinezza trascorsa a Bologna, nella rameria dei conti Rossi, dove aveva imparato il mestiere. Ma nella lunga notte la nostalgia doveva lasciare spazio ai timori per quel maledetto arresto e per le informazioni che avrebbero potuto giungere da L'Aquila. Come dimenticare l'ansia per le vicende giudiziarie che sei anni prima avevano colpito i suoi cognati Isidoro Strina e Ascanio Vicentini, con le loro famiglie? |