Sul continente intanto gl'indugi precipitavano. Napoli, si diceva, era in ebollizione: le Calabrie ci stendevano la mano. Garibaldi, impaziente, decise di passare il mare malgrado le raccomandazioni del re di Piemonte e le minacce della diplomazia.
La notte dell'8 agosto il Musolino doveva impadronirsi di sorpresa del forte Cavallo, sulla costa calabrese, e di là incrociare i fuochi con le batterie del Faro, così da mantener libera una zona di mare fra le due sponde dello stretto. E appunto perché destinati per i primi, insieme con la brigata Cosenz e Sacchi, alla traversata dello stretto, noi, lietissimi, uscimmo da Messina il mattino del 9.
Ma, com'è noto, l'impresa del Musolino falli, e con essa rubarono le nostre più care speranze!
Garibaldi, mutato disegno, pianta d'un tratto i nostri reggimenti in riva al Faro, e si dilegua. Come a Marsala, egli ricompare improvviso l'alba del 20, un'altra volta col Bixio, a Melito; e il 21, come a Palermo, entra improvviso un'altra volta a viva forza, in Reggio di Calabria. Ne era tempo: già da quattro giorni la Basilicata, prima fra le province meridionali del continente, aveva, in Potenza, proclamata con le armi la insurrezione. La Basilicata! chi sapeva nulla, allora, di questo nostro angolo di terra, che serba tuttora l'antico suo nome greco-bisantino?
Noi, delusi nella maggiore delle nostre aspettative, restammo accampati nell'arida e ghiaiosa fiumana della Guardia, coi battaglioni siciliani del Laporta, in una posizione strategicamente opportuna, perché teneva sempre in sospetto i borbonici, che si volesse di nuovo azzardare il passaggio in quel punto, ma nociva alla compagine delle truppe, perché solleticava i volontari, cui l'inerzia è fatale, a sbandarsi, e cercare refrigerio nella città poco lontana.
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