Un barlume di speranza di trovar l'amico ancora vivo, mi spinse pertanto, la mattina del 5, non appena seppi che il nemico aveva sgomberata la valle, a galoppare sino a Vezza. Vi raccolsi invece la certezza della sua morte. Gli austriaci avevano seppellita la sua salma, rinvenuta sul sentiero, ove egli fu adagiato il giorno stesso del combattimento, nel cimitero di Vezza, rendendole gli onori militari. Toccò a me il doloroso incarico di scrivere alla madre, che forse sperava tuttora, la conferma della sua perdita lagrimata. Povero Antonio! Degno compagno del Castellini, morì lui pure da prode.
A Vezza vidi in cambio una dozzina di bersaglieri che credevamo perduti, e che gli austriaci avevan ricoverati nella chiesa e medicati con molta umanità di modi; essi furon poi curati, con affettuose premure, dalla signora Ventura, parente del deputato Gregorini, alla quale io pago in questa pagina, a nome dei commilitoni, un tributo di riconoscenza. Il sindaco, Martino Pasolini, un uomo di cuore, mi ragguagliò dei particolari della inumazione del capitano Frigerio; mi diede i nomi di due morti, riconosciuti dai compagni feriti: di altri dieci, sepolti dagli austriaci, non aveva potuto constatare la identità. Voleva condurmi al cimitero, ma declinai l'invito, perché, confesso, mi pungeva Il sospetto di venir sorpreso da una pattuglia nemica. Mentre il giorno innanzi una completa indifferenza per il pericolo mi aveva perfettamente tenuto sereno lo spirito in mezzo al tumulto della lotta, quel mattino lì, in piena calma della natura, io mi sentivo addosso l'inquietudine. Quella galoppata da solo, su la strada deserta, di cui ogni svolta evocava un episodio violento, aveva preparato l'animo a un non so quale senso di turbamento, che m'indusse a rimontare a cavallo dopo mezz'ora di sosta, e a tornarmene sollecitamente fra i nostri.
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