I bersaglieri mi si fecero intorno, premurosi di udir novelle di coloro che avevo trovati a Vezza, e chiedere di altri dei quali non si aveva più traccia. Tra questi ultimi rammento Oreste Berti, di Brescia, dei miei, della 2a, che fu veduto correre in cerca della compagnia là ove più intense scoppiavano le fucilate; indi sparve, senza che mai più si sia saputo nulla di lui. Forse giace fra quei dieci, di cui mi parlò il sindaco. Al contrario, un altro smarrito, Vigilio Inama, tre giorni dopo il combattimento sdrucciolava giù dai monti in mezzo a noi, camuffato da alpigiano, dapprima irreconoscibile, poi festeggiato con allegre risate. Raccontò di essersi fermato a soccorrere un intimo suo amico, lo Zini, e quindi, tagliato fuori dalle nostre file, di essersi rifugiato in un casolare, ove un contadino lo aveva vestito dei suoi panni, e trattolo a vagare per le baite della montagna, lo aveva ricondotto finalmente a Edolo. Oggi egli è professore all'Accademia scientifico-letteraria di Milano.
Alessandro Zini, di Trento, studente di legge, caduto vicino a Vezza con una palla in petto, aveva chiesto ai compagni, che si ritiravano, un po' d'acqua, aveva loro raccomandato di salutar la madre e la sorella, e quindi era stato lì abbandonato e creduto morto. Invece si riebbe, si sciolse la cintura, grave dell'oro che portava seco, e si trascinò in una via di Vezza, tuttora occupata dai nemici, deserta di abitatori, che erano sbarrati nelle case. Ma una vecchia, la levatrice del villaggio, lo vide, scese giù, lo raccolse, gli diede il suo letto, gli curò la piaga, gli riebbe persino la cintura col denaro, e lo rimandò a tempo debito, già rimpianto e, come avviene, già dimenticato, alla sua compagnia, cui rappresentò, in mezzo alle liete accoglienze, la parte del morto redivivo. Morì il 1890 a Brescia, ove si era acquistata la stima e l'affetto dei nuovi concittadini. |