Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Un ultimo aneddoto, e finisco. Scendendo col mesto convoglio, che menava a Cedegolo la salma del Castellini, con quale tristezza è facile immaginare! si sopraggiunse un altro carrettino tirato da un ciuco, che trasportava un nostro ferito. Salutatolo d'una parola di conforto, gli ero già passato dinanzi, quando uno scoppio di risa mi scosse e, in quel momento, mi offese. Mi volsi accigliato, e Cuttica, di solito così serio, mi disse scusandosi: “ma, capitano, non se ne poteva a meno”; e mi narrò il caso.
     Era Emilio Roda, milanese, prestante ed animoso giovane, al quale, mentre correva all'assalto, presso un muricciuolo di Vezza una palla aveva trafitte orizzontalmente le cosce, sotto la inguinaia, inferendogli tre ferite. Il Roda, con molta presenza di spirito, appoggiandosi alla carabina, s'ingegnò da solo a porsi in salvo; ed ora, steso su la carriuola, fumava la sigaretta, e scherzava sul fortunoso accidente, rallegrandosi di aver salvi, per miracolo, gli organi più delicati, e ricamandovi su i più ameni commenti.

     Un bravo ufficiale, che veniva dopo di me, e che spesso sollevava il nostro buon umore con l'enfasi del suo eloquio, e pel suo persistere a chiamar “cherubina” la nostra arma, volendo esprimere al Roda il suo pietoso interessamento: “giovanotto”, aveva esclamato con il solito suo tono, “fatevi coraggio; un giorno mostrerete con orgoglio le gloriose cicatrici ai vostri figliuoli!” Sfido io a non ridere! L'evocazione dell'augurio prematuro si affacciava alla fantasia con una evidenza così compromettente per la dignità e la serietà paterna, e la immagine era così strana e così burlevole a un tempo, che non solo giustificava pienamente la ilarità dei compagni e dello stesso Loda, ma provocava perfino la mia.


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Umberto