Meglio d'ogni mia parola sarà facile comprendere, io credo, perché anch'io non avessi allora esitato a seguire Garibaldi in Sicilia, leggendo un brano del diario di mia madre, che qui trascrivo, e che risale alla venuta del generale in Lombardia durante la primavera del 1862.
“Il 28 maggio (ella scrive) un avvenimento tra' più fortunati della nostra famiglia sopraggiunse a scuotere il cocente, profondo dolore, che intorpidiva tuttora l'animo mio per la morte del mio secondogenito, il povero Massimo.
“Il generale Garibaldi fu nostro ospite a Varese e a Besozzo.
“Domenico (mio padre), in occasione dell'arrivo di Garibaldi, ardì proporre di alloggiarlo in casa. E Garibaldi, al suo segretario Bellazzi, che lungo la via da Como a Varese gli diceva delle due offerte avute e dall'Adamoli e dal municipio, rispose: “Andrò dal mio buon amico Adamoli”. E arrivò coi suoi due figli Menotti e Ricciotti, il dottor Ripari, i due fratelli Cairoli, non ancora del tutto guariti, il deputato Miceli, il colonnello Bruzzesi, romano, il capitano Wolf, Bellazzi, Basso, Forza. Crispi venne la sera a parlargli.
“La emozione che provai è indescrivibile. Affido qui allo scritto l'addio, che avemmo da lui.
“Fattomi chiamare, mi domandò subito di Giulio.” - “E Giulio ? Venga, perché voglio salutarlo.”
“- Giulio, a rivederci al campo,” gli disse stringendogli la mano. “Vi aspetto.”
“Domenico, scosso, interruppe: -prendete me in sua vece; è solo, lasciatelo a sua madre.”
“Io soggiunsi: -se sono di ostacolo e se ciò occorre, andate pure tutti due.”
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