Se qualche cosa non correva liscia, e si reclamava o si chiedeva un consiglio, “rangève!” rispondevano invariabilmente tutti dal caporale in sù; “ràngete” rispondeva per spirito d'imitazione il granatiere, cui il compagno si rivolgeva. Il verbo rangèse veniva coniugato in tutti i modi, e in tutti i tempi.
Per abituarci però a queste piccole miserie della vita del campo, il nemico e il comando dell'esercito nostro parve si accordassero a concederci un larghissimo margine di tempo. Durante l'intero mese di maggio non si fece che alternare metodicamente marce ed accampamenti, così che attraverso quelle grasse pianure piemontesi, in mezzo a popolazioni sobrie di manifestazioni, ma sostanzialmente cordiali, che ci accoglievano come membri della loro famiglia, ci sembrò piuttosto di prender parte ad una esercitazione tattica che ad una guerra combattuta. Anzi, non metterebbe neanche il conto di seguire le peripezie del reggimento in quel periodo monotono: giacchè non si può contare come manovra di battaglia l'esserci spiegati e preparati a sostenere eventualmente, durante la giornata di Confienza, i nostri impegnati al fuoco. Citerò, per quanto si attiene a me, l'attendamento a Borgo Vercelli, in cui, arrivato stanchissimo, e destinato per turno alla gran guardia del campo, venni dimenticato per quattro ore in sentinella, senza che i messaggi al capoposto approdassero a nulla. Il caporale, che mi aveva messo in fazione in un luogo fuor di mano, essendo svenuto per la fatica della marcia, e nessuno ricordandosi di dovermi rilevare, arrischiai di finire come la sentinella leggendaria del primo Impero, ritrovata dopo venti anni con moglie e figliuoli allo stesso posto. |