Ricordo anche il campo di Terranova, su le rive della Sesia, perché lì per la prima volta ci toccò provare il senso di raccapriccio innanzi alle vittime della guerra, vedendo portare attraverso i nostri battaglioni, ravvolta in un drappo di tenda, la salma del sottotenente Danesi, di fresco uscito dall'Accademia, ucciso sotto gli occhi del padre; il general Danesi, da una racchetta austriaca, tirata dalla sponda opposta del fiume.
Ma fu peggio quando a Villa Nuova, il 26, il bollettino ci riferì che Garibaldi, varcato il Ticino a Sesto Calende, avanzava in Lombardia. In ogni capannello di volontari non si udivano che frasi d'invidia per i Cacciatori delle Alpi; e parole di rammarico per avere indossata la divisa di un reggimento, che ci sembrava destinato per sempre alla retroguardia. Io non sapevo darmi pace di aver mancato di pazienza a Genova. Tanto più quando a Busto Garolfo, trovandomi agli avamposti, ed avendo fermato una carrozzella, perché il mio ufficiale desiderava chiedere delle informazioni, seppi dal curato di Lozza, che la conduceva, i particolari delle vittorie di Garibaldi, e come si aggirasse proprio intorno a casa mia, e come mio padre corresse anche lui la campagna a fianco del generale. |