Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     L'entrare in Milano, vergini di fuoco, ci sembrava una tale vergogna, da renderci indegni di ogni onorevole accoglienza. I milanesi, invece, ce la prepararono cordiale e splendidissima.
     Il nostro ingresso nella capitale lombarda avvenne la mattina del 9 giugno. Dopo una breve sosta fuori della barriera per ripulirci e rassettarci, passammo sotto l'Arco della Pace in colonna di plotoni, e per Piazza d'Armi, e le vie Cusani, dell'Orso, San Giuseppe e Monte Napoleone, sboccammo sul Corso di Porta Orientale; sfilando sotto il balcone del palazzo Busca, da cui ci salutarono Napoleone III e Vittorio Emanuele, riescimmo sul bastione verso Monforte, ove ci fermammo a formare i fasci: quindi, rotte le righe, ci si permise di andare in città. La scorta di entusiasmo posto in serbo dai cittadini era tanta, che malgrado lo spreco fattone il giorno innanzi all'arrivo dei Sovrani e delle truppe vincitrici di Magenta, ne rimase d'avanzo anche per noi. Dai balconi le signore gettavano fiori, sventolavano fazzoletti; le popolane si spingevano fra i plotoni per stringerci le mani; gli uomini acclamavano: e noi, commossi, attoniti, accoglievamo le appassionate dimostrazioni, stecchiti nei ranghi con l'arme in parata. Il sergente mia guida di sinistra, avendo indicato me ad una bellissima fanciulla, che chiedeva di vedere un volontario milanese, questa mi piantò in petto un mazzolino di fiori, facendosi tutta rossa in viso: ed io non seppi dire altro che un grazie scipito, il cui ricordo mi perseguitò per un pezzo come il si figuri del sarto Manzoniano.


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Umberto