Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Era già buio. Il Lavarello, prima di dare le ultime disposizioni marinaresche, raccoltici a poppa, ci volle arringare: “Attenti, ei disse, figliuoli! Badate, che se incontriamo una nave napoletana, io le filo sopra, diritto; voialtri state pronti per saltare all'arrembaggio”. Un discorso, se si vuole, troppo breve, ma efficacissimo, che fu salutato da un urrà frenetico, e che ci mise tutti i diavoli in corpo. Ve lo figurate però l'Utile, che investe una fregata napoletana? Eppure il bravo Lavarello era in piena buona fede, e senza esitare avrebbe certamente tentata la prova. Non meritava quell'uomo ardito la sorte che gli toccò, quella cioè di morire miseramente all'ospedale, il 1886, dopo avere speso sé stesso e la sua fortuna in pro' della patria!

     Spenti a bordo i lumi, spiando il mare coi fucili alla mano, guidati da un pilota del luogo, certo Sesti, avanziamo con la macchina a tutta forza. Siamo in vista di Marsala. I nostri trapanesi con la scialuppa, vogano innanzi in ricognizione, e ritornano avvisandoci che la piazza è sgombra. Entriamo nel porto e vi affondiamo l'àncora, e alle tre e mezzo del mattino del primo giugno io scrivo con la matita a mia madre, affidando il messaggio al macchinista dell'Utile: “sbarco finalmente in Sicilia!”
     Solo a giorno chiaro appare una nave da guerra borbonica, la quale, mandata una lancia alla bocca del porto, si ritirò di lì a poco senza far mostra di sorta.
     Sbrigata lestamente dai facchini e dai marinai, che vi si adoperarono con zelo, l'operazione dello scarico del materiale, e assicuratane la custodia, seguimmo finalmente i cittadini, accorsi sul molo all'annunzio del nostro arrivo, impazienti com'erano di ospitarci nelle loro case, già imbandierate coi colori d'Inghilterra, sotto il cui protettorato la prudenza aveva loro consigliato di porre i beni e le persone.


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Umberto