Era già buio. Il Lavarello, prima di dare le ultime disposizioni marinaresche, raccoltici a poppa, ci volle arringare: “Attenti, ei disse, figliuoli! Badate, che se incontriamo una nave napoletana, io le filo sopra, diritto; voialtri state pronti per saltare all'arrembaggio”. Un discorso, se si vuole, troppo breve, ma efficacissimo, che fu salutato da un urrà frenetico, e che ci mise tutti i diavoli in corpo. Ve lo figurate però l'Utile, che investe una fregata napoletana? Eppure il bravo Lavarello era in piena buona fede, e senza esitare avrebbe certamente tentata la prova. Non meritava quell'uomo ardito la sorte che gli toccò, quella cioè di morire miseramente all'ospedale, il 1886, dopo avere speso sé stesso e la sua fortuna in pro' della patria!
Spenti a bordo i lumi, spiando il mare coi fucili alla mano, guidati da un pilota del luogo, certo Sesti, avanziamo con la macchina a tutta forza. Siamo in vista di Marsala. I nostri trapanesi con la scialuppa, vogano innanzi in ricognizione, e ritornano avvisandoci che la piazza è sgombra. Entriamo nel porto e vi affondiamo l'àncora, e alle tre e mezzo del mattino del primo giugno io scrivo con la matita a mia madre, affidando il messaggio al macchinista dell'Utile: “sbarco finalmente in Sicilia!” |