Dovendo poi l'Authion tornare subito a Palermo, il Piola assunse l'incarico di ricapitare a Garibaldi una lettera, in cui lo si avvertiva di noi, e lo si pregava di mandarci incontro, nelle acque di Ustica, un battello con la indicazione del posto, ove desiderava che noi sbarcassimo.
Finalmente, dato assetto alle cose nostre, il 30 maggio, innanzi giorno, levammo l'àncora per l'ultima rotta della nostra spedizione. Filavamo diritti su la Sicilia.
Il giorno dopo, cercato invano il battello aspettato, accostammo alcune barche di pescatori, dai quali sapemmo, che anche a Trapani, ove forse avremmo voluto far punta, era una forte guarnigione borbonica. Allora Agnetta e Lavarello decisero di volgere la prua a Marsala, nella fiducia di trovare una sorveglianza meno attiva, però che i napoletani, era a credere, non sospettassero colà una seconda edizione dello sbarco: e, in attesa della notte, fermarono la macchina, e diedero mano ai preparativi per l'approdo.
I volontari vennero divisi in quattro squadre, di una delle quali io fui il capo. Poi si frugò in cerca delle uniformi, che speravamo fossero camice rosse. Invece il Bertani aveva imbarcato una balla di camiciotti azzurri di cotone della guardia nazionale coi rispettivi berretti....
La cassa delle armi, destinate a noi della scorta, ci preparava una disillusione anche più amara. Invece delle carabine e delle rivoltelle, di cui si era parlato, scoprimmo vecchi fucili, anch'essi della guardia nazionale di buona memoria. Si bestemmiò, lì per lì; poi, celiando, infilammo su gli abiti la pacifica divisa azzurra, e scegliemmo le armi meno impossibili.
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