Intanto, fra le due schiere avversarie le distanze diminuiscono rapidamente. Già stanno di fronte, e sparano. Un punto bruno (tali ci appaiono i soldati sul fondo biancastro della vallata) si stacca dalle file garibaldine: poi due, un gruppo, tutta la linea. “È la carica alla baionetta, bravi i bersaglieri!”, diciamo. Gli austriaci volgono le spalle, i nostri li incalzano sino presso Storo; poi si raccolgono, si riordinano.
Una linea di fiancheggiatori austriaci, mascherandosi dietro i boschi, si era spinta lungo le falde di Monte Suello, non avvertita né da me né da coloro che erano in basso, allo intento di avviluppare i nostri non appena fosse impegnato il combattimento. L'Orlandi, nello scendere, la scorse; anzi dal capitano Ruziczka, rimasto prigioniero, si seppe poi, che quando egli le scivolò accanto fra mezzo gli alberi, venne, a causa della somiglianza della divisa, scambiato per un tirolese, e che solo a ciò dovette fortunatamente lo scampo, che gli permise d'informare dell'agguato l'aiutante maggiore Mantegazza. Questi ne diede avviso al Castellini perché sostasse, e nello stesso tempo mandò nella selva di castani, alle radici di Monte Suello, due plotoni della 3a compagnia per paralizzare l'azione dei nemici imboscati. Ne seguì uno scambio di fucilate, durante il quale fu appunto ferito l'Orlandi, forse perché la coperta di lana bianca che egli recava a tracolla, lo faceva spiccare in mezzo a tutti, “richiamo alle palle” com'era detto dai commilitoni, i quali avevano deposto quell'impedimento appariscente a Rocca d'Anfo. |