“Confido nella vostra attività e di Tolazzi per essere assecondato, e vi saluto cordialmente.
“Il maggiore comandante N. CASTELLINI,
“Al signor capitano Adamoli, Bagolino”.
Seguivano poi in poscritto indicazioni per viveri, carri, ecc., che ommetto.
Che cosa poteva mai significare un tale ordine di ritirata precipitosa e proprio all'indomani di aver respinti gli austriaci, e di esserci aperta la via per il Tirolo? La nostra immaginazione presentì avvenimenti non lieti, pur rimanendo al di sotto del vero. Ad Anfo sapemmo finalmente della battaglia di Custoza, e dell'ordine di scendere al piano; ma ancora confusamente, chè i bollettini, in quella benedetta campagna, non brillarono mai per troppa chiarezza. Una cosa soltanto era fuori di dubbio: che a noi, su quei colli già bagnati del sangue piemontese il 1848, era toccata la peggio. Peccato! L'ossario, che più tardi fu innalzato a Custoza, “il solo, il vero monumento dell'Italia nuova”, come ebbe a dire il mio caro amico e collega al Parlamento Giustino Fortunato “che segna il luogo ove, dopo tredici secoli, per la prima volta, sotto una sola bandiera, in un solo esercito nazionale, tutti gli italiani si trovarono insieme a combattere lo straniero” ricorda a noi una dolorosa e immeritata disfatta. Peccato!
La mattina del 27 proseguimmo sino a Vestone, ove, durante la sosta, visitai il Cella, prima che venisse trasportato a Salò in casa Lombardi. Alle 4 del giorno la colonna ripartì, senza lasciare questa volta grande strascico di ritardatari, perché i più stanchi si eran provvisti a tempo dei veicoli e se n'erano andati avanti. La marcia, diretta prima sopra Salò, deviò poi sopra Cacavero, in seguito a un dispaccio di Castellini, che ci aveva preceduti per parlare con Garibaldi, in cui mi scriveva, che così vi sarebbe stato “risparmio di via per marciare nella direzione, dove moveremo domani all'alba”.
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