Trovammo in fine il maggiore in una stamberga, fiocamente illuminata da una candela di sego, accasciato, in pessime condizioni di salute. Udita la relazione circostanziata, egli ci congedò senza aggiungere né un'osservazione né una parola. Castellini, uscendo, non sapeva veramente che cosa pensare; si ritirò pertanto a pigliare un po' di riposo, interpretando il silenzio del suo anziano come un'approvazione delle sue disposizioni, e una riconferma del proposito di difendere Vezza.
Balzo costernato a tale annunzio, che sconcerta tutti i nostri piani, e conduco di corsa il tenente dal Castellini, che dormiva in un bugigattolo di Incudine. Poco dopo arriva anche il Cantoni. Si scambiano spiegazioni, e presto ci si convince, che l'ordine di sgombrare Vezza, pervenuto al comandante la compagnia rossa, non può essere originato che da un equivoco. Vedo ancora la scena: Castellini, supino sul giaciglio, noi intorno a discutere. Chi sa, forse siamo ancora in tempo! Malacrida accorra a rioccupare Vezza; io lo assecondi, nel caso le avanguardie nemiche fossero già penetrate nel villaggio; le altre compagnie appoggino il movimento della seconda, avanzando parallelamente ad essa dalle posizioni ove si ritrovano. E così fu fatto. |