Ordinati rapidamente i miei bersaglieri, m'incammino. Appena passato Davena, udiamo davanti a noi le prime fucilate. Pur troppo siamo arrivati tardi; bisogna ripigliare con le armi le posizioni abbandonate. Comando a Travelli di stendere in catena il primo plotone (sergente Gilardi) a sinistra della strada maestra, che rimonta la vallata, avendo il secondo (sergente Cantoni Bernardo) per sostegno. Io guido il terzo (sergente Barozzi da Vignola) a cavaliere della strada, ed ho a sostegno il quarto (sergente Rinaldi). C'inoltriamo di conserva; le palle incominciano a fischiare. M'imbatto nel sottotenente della 2a rossa, Achille Prada, un caro giovinetto, che studiava ancora all'università, e che io conoscevo, il quale si ritirava con la sua mezza compagnia in seguito all'ordine ricevuto. Gli dico dell'equivoco fatale, e del come invece convenga riprendere Vezza. Giubilando, ei si mette al mio fianco, e le sue camice rosse si mescolano alle mie casacche grige.
Prada ed io camminavamo in mezzo alla strada: le nostre due uniformi di color diverso offrivano un bersaglio distinto ai tiri dei cacciatori nemici. Appoggiato alla sua spalla, io mostravo a lui, con l'indice teso, una fila austriaca, che saliva per una viottola della montagna, quando egli, stringendosi il ventre, esclama : “sono morto!”; ed io ho appena il tempo di allungare il braccio, per impedirgli di stramazzare a terra di peso. I suoi soldati lo riportano indietro, sopra una coperta di lana; egli mi stende per l'ultima volta la mano, che già si contrae fra gli spasimi dell'agonia. Due ore dopo Prada spirava. |