Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     A Ginevra ci stringemmo attorno al generale, che si compiaceva in mezzo ai fidi compagni, e scrutandone la mente nei colloqui familiari, indovinammo in lui il proponimento di proseguire deliberatamente nell'impresa di Roma; e così fu da noi raggiunto quell'intento, che ci aveva spinti fin là.
     Le dotte adunanze poi del congresso della pace c'interessarono e ci edificarono non poco. Solo ci parve eccessivo lo zelo di quegli oratori, che nel calore della discussione poco mancò non si accapigliassero, mentre invocavano solennemente la concordia universale. Ma pur troppo il buon effetto morale svanì presto nella bisca
     di Saxon, ove ci soffermammo prima di rivalicare il Sempione, facendoci miseramente spennacchiare.
     L'arresto di Garibaldi, e la sua relegazione a Caprera, non raffreddarono gli animi nostri; chè anzi, facendosi sempre più incalzanti le voci di moti imminenti, su la fine del settembre mi recai anch'io a Firenze, per prendere il mio posto di combattimento, e affiatarmi con i membri del comitato centrale di soccorso, e della società democratica romana.

     Il Comitato Centrale, presieduto dal marchese Pallavicini, e composto di Crispi, Cairoli, Laporta, Oliva, De Boni, Miceli, Bertani, Guastalla, era, per dir così, l'intermediario ufficiale fra la insurrezione romana, il governo e il paese. Nel paese manteneva viva l'agitazione con i proclami, con la propaganda dei sottocomitati sparsi in ogni parte del regno allo scopo di raccogliere soccorsi; presso il governo adoperava la sua influenza, a fine di piegarne la politica e favorir gl'intenti della cospirazione; su gl'insorgenti di Roma e su le bande dell'Agro romano aveva assunto una specie di alto patronato, intervenendo direttamente nei loro consigli e nei loro atti col mezzo di amici e di agenti speciali. In breve, il comitato centrale aveva acquistato una importanza non indifferente, e anch'esso oramai pesava sui destini della nazione.


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Umberto