Dopo le frottole, che facevano il giro dei capannelli fiorentini, io mi aspettavo di trovar Roma sossopra; e però con molta meraviglia guardavo ai romani, che accudivano, con la calma abituale, alle loro faccende, e ai forestieri, che visitavano tranquillamente, con il solito cicerone, i soliti monumenti. Ciò, del resto, era naturale, chè le masse ignoravano quanto già si preparava, e non ancora la rivoluzione era incominciata. Solo gli zuavi, con la arroganza del contegno, imprimevano una certa perturbazione alla fisonomia tranquilla della città.
Cucchi, di cui andai in cerca non appena fui giunto, forse accrebbe anch'egli nell'animo mio questa impressione di calma, perché aveva l'aria del più pacifico cittadino della terra, le mille miglia lontano dal meditare una cospirazione. In verità, non ho mai visto un uomo più padrone di lui, più impassibile in mezzo ad ogni genere di pericoli e di emozioni, più freddo quand'anche dovesse cascare il mondo. Garibaldi aveva avuto buon naso nel dare incarico al gentiluomo bergamasco di ordir la trama e di capitanare la insurrezione di Roma.
Cucchi si era recato a Roma ai primi di settembre, e subito aveva dato mano all'opera; né gli agenti papalini, durante quel primo mese, riconosciuto regolare il suo passaporto, gli diedero gran fatto molestia.
Solo verso il 15, egli fu chiamato a Montecitorio, sede allora degli uffici di polizia, ma semplicemente perché si bramava conoscere “un così eminente personaggio”; oh, non per altro! Monsignor Randi, vice-camerlengo di Santa Chiesa, e ministro di polizia, prelato mondano ed elegante, che occupava le stanze oggi del presidente della Camera, addobbate con una certa tappezzeria alla cinese, lo accolse con urbanità squisita. Senza escire di una linea dalla più stretta correttezza, senza una sola allusione, che mancasse di tatto, gli chiese dello scopo del suo soggiorno in Roma; e alla risposta del Cucchi, che ivi lo avesse tratto l'amore dei viaggi, dell'arte e dell'antichità classica: egli aprì subito una fine discussione su l'argomento. “Ma lei (concluse) è collega ed amico del deputato Asproni, il quale è pure amico dei miei amici”; e nominò parecchi prelati. “Abbiamo dunque dei vincoli comuni, noi due!” E su questo tono di garbatezza, anzi con un'ombra di cordialità, finì il colloquio. I duellanti si eran misurati, trovandosi degni l'un dell'altro.
|