Il 30 di settembre, di buon mattino, Cucchi, che fiutato il vento infido, allestiva già le valigie, ebbe una seconda chiamata. Ma al commissario, che gliela intimò all'Hotel d'Allemagne con modi burberi, innanzi tutto egli diede una lezione di galateo, poi rispose, che se il ministro di polizia lo riceveva subito, bene: se no, no: chè non voleva perdere il treno mattutino per Firenze. E poiché monsignor Randi dormiva ancora, Cucchi se n'andò, e non ebbe più occasione di imbattersi nel cavalleresco avversario.
Ogni notte mutava alloggio: o su alla Trinità de' Monti accanto la chiesa, dalla signora Placidi; in via Sistina, o in piazza del Pantheon su l'angolo della salita dei Crescenzi; nel vicolo dei Soldati, o in via della Frezza; non di rado sotto un albero in via Merulana. E così pure ogni giorno mutava il posto di convegno con gli amici. Ora li accoglieva in una di queste sue abitazioni; ora in via della Croce, sopra il ristoratore Bedeau, presso la vecchia signora Acquaroni, che custodiva in casa tutto un arsenale, degna madre di quel Memmo Acquaroni, ferito la sera del 22 alla Vigna Matteini, trascinato in prigione, mal curato, condannato a vent'anni di ergastolo; ora li adunava presso la famiglia Petrarca, di cui la signora Teresa faceva gli onori con vero sentimento patriottico; ora in altri posti, che più non ricordo. Quando non era il caso di discutere interessi gravi, ei fissava il ritrovo nelle basiliche, nei musei, all'aperto. Vi si barattavano quattro parole, si scambiavan ordini, notizie, incoraggiamenti, e ognuno poi andava pei fatti suoi: i romani alle loro occupazioni, a prender concerti con i soci, a dar loro ragguagli intorno alle probabilità dell'arrivo dei fucili da Terni, meta di ogni divisamento, speranza ardentissima di tutti; gli altri, il più spesso a diporto, in giro per i monumenti e le antichità. |