Luigi Cucchi occupava, all'Albergo di Roma, il numero 98; io ero all'attiguo numero 99. Udii pertanto tutto il dialogo dell'arresto, e tenni dietro a tutto il tramestio de' poliziotti nel frugare ch'essi fecero le robe dell'amico; e confesso, che al pensiero di vederli probabilmente entrare anche da me, e di dover quindi declinare quella ingrata storia del nome e del passaporto inglese, mi sentivo supremamente seccato, e tutt'altro che indifferente. Quando Gesù volle, essi andaron via, e io mi addormentai.
Poco per volta venimmo in chiaro di tutti i particolari della impresa de' fratelli Cairoli. Il dottor Angelucci, membro attivo e valoroso del comitato, ci recò le notizie di Giovannino, ricoverato all'ospedale di Santo Spirito, ov'era curato con riguardo, e visitato assiduamente da monsignor Stone, prelato inglese, che lo aveva preso sotto la sua speciale protezione. Ma non tentammo di vederlo, perché l'Angelucci dichiarò che una simile imprudenza ci avrebbe compromessi tutti. Sapemmo che il cadavere del povero Enrico giaceva onoratamente in un feretro, e che senza dubbio sarebbe stato posto a disposizione della famiglia. Anche dei compagni feriti o prigioni avemmo esatti ragguagli, ma non potemmo avvicinarli. |