Luigi Cucchi, dopo una prima sosta a Roma, era tornato a Firenze, donde, il mattino del 15, era ripartito insieme col Rossi; e avendo avuto la fortuna di passar prima che la ferrovia fosse stata interrotta, aveva potuto consegnare al comitato insurrezionale la somma, di cui ho detto, e il seguente biglietto in cifra:
“A qualunque costo, e senza perdere un istante, fate. Non contatevi: le sorti del paese dipendono da voi. Fate le fucilate anco in dieci.
“FABRIZI”
Sebbene Luigi Cucchi viaggiasse con passaporto spagnuolo, che lo qualificava per mercante di granaglie, pure monsignor Randi, il 19, lo chiamò a Montecitorio e gl'impose, per suo bene, com'ei soggiunse, di abbandonar la città. E Luigi Cucchi, di rimando, gli affermò esser desiderosissimo di togliersi a quell'ambiente torbido, e affatto deciso di partire l'indomani.
Partì difatti, in carrozza, solo, ma per giungere non oltre Cantalupo, la sera dei 20, abboccarsi coi fratelli Cairoli, rientrare in Roma pel 21 prima di notte, e partecipare ai moti del 22.
La sera del 23, rincasando, fu avvisato dal portiere che i birri lo aspettavano su per le scale. Ei proseguì, mostrando la più assoluta indifferenza, e rientrò con essi nella sua camera, protestando di non saper nulla di nulla. I gendarmi, dopo aver da lui accettato un generoso rinfresco, lo tradussero nelle carceri di Montecitorio, situate precisamente nell'emiciclo dietro la fontana.
Malgrado le sguaiate insinuazioni di un agente provocatore, egli non tradì sé stesso, né fu tradito o compromesso dall'Acquaroni, colà menato gravemente ferito, né dal Cariolato, arrestato anch'egli, e insieme con l'Acquaroni cacciato nello stesso camerone del Cucchi. Il giorno dopo i gendarmi lo accompagnarono sino al confine, non rifinendo di ringraziarlo della sua liberalità a riguardo loro. Per poco che avesse insistito lo seguivano sino a Firenze.
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