Mi era stato maestro, oltre la mamma, uno dei capi operai della fonderia, Sperandio Arrigoni, molto caratteristico, con la sua barbetta a punta, con gli occhi sporgenti sempre umidi, con un sorriso ironicamente mefistofelico. Ma era buono. Aveva letto molti romanzi, e raccontava ai compagni di lavoro, nelle ore di riposo, molte novelle e i fatti del giorno, letti nei giornali.
Insegnava a S. Antonio una simpatica giovane maestra dell'Aquila. Avevo per compagni quasi tutti contadinelli, tra i quali vivevo in condizioni di privilegio. Ma io non vi facevo caso, se la maestra usava a me modi diversi da quelli che usava ali altri.
Generalmente non amavo i giuochi; amavo, invece, muovermi, camminare, correre, sempre correre, e arrampicarmi per le erte, su gli alberi.
D'estate passavo molto tempo sulle rive del fiume Aterno, o di un vicino piccolo lago, cinto di alghe e di salici. M'attraeva molto l'acqua.
Assai mi dilettava rincorrere le libellule, le farfalle, vedere guizzare i pesci ed il movimento silenzioso degli innumerevoli insetti.
Andavo quasi sempre solo; qualche volta m'accompagnava altro ragazzo, figlio d'un operaio della fonderia, molto vivace. Cercava questi spesso d'infilzare con una canna i gamberi, che si muovevano in fondo ad un canale d'acqua. Una volta, per essersi spinto troppo avanti, vi cadeva dentro. Alle mie grida accorreva, dalla vicina campagna, un contadino, e lo traeva in salvo.
Erano gli eventi pił notevoli, che si svolgevano nella vita di quel piccolo mondo.
|