Anche i Caduti, quasi dimenticati, rivedevano la luce in un monumento, inalzato su mia iniziativa su una pubblica piazza.
Ma a questa mia attività, elogiata dagli stessi villeggianti che in ogni nuovo anno trovavano nuovi agi e nuove bellezze, guardavano con occhio torvo e perfido animo, rosi dall'invidia, tormentati dalle ambizioni, gli operatori del male. Nel mio sdegno, sia pure con molto rammarico, chiedevo ed ottenevo la sostituzione e mi ritiravo a Teramo.
Generale il dolore, specialmente nel popolo. Molte le lettere a me dirette. Di esse voglio trascrivere soltanto quella delle buone Suore dell'Asilo da me fondato. Dicevano:
"Le giunga gradito il nostro ricordo unito ai sensi della più sentita gratitudine anche da parte dei cari bambini, suoi protetti. Come immaginavamo, la sua partenza ha lasciato un grandissimo vuoto, che diventa sempre più sentito. Invano i bimbi l'attendono e fanno a gara per moltiplicare fioretti e preghiere, affinché il buon Dio voglia rimunerarlo di tutto e rendere prospera e felice la sua esistenza."
Così le buone Suore nel loro mistico dolore.
A Teramo tornavo a quel cantuccio di silenzio, già soggiorno di pace della mia compagna. Tornavo allo studio, al giornalismo, alla sana vita dei campi. Non il solito Cincinnato a spasso, ma uno che come il vero austero romano s'interessava della terra, che lavorava da sé il suo orto e il suo giardino. E nelle favorevoli stagioni rimanevamo, io e la buona compagna, come a Silvi dinanzi al mare, sino a tarda ora nel giardino in fiore, in tenero raccoglimento. Pareva talvolta una profanazione rompere, con la parola, il santo incanto. E quando nel cielo profondo vividamente palpitavano le stelle, o quando tra i rami verdi e gli alti rosai appariva la bianca luce della luna, pareva che l'anima si distaccasse da noi per andare ad unirsi alla divina anima universale. E si rimaneva a lungo muti, giudicando la vita bella come la giovinezza, la speranza, l'aurora.
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