T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     A Giulianova prendemmo il treno, che ci doveva condurre verso la nuova nostra residenza.


     Anche a Vitoio, come a Rocciano, non si vedevano, sparse per le campagne, che case di contadini.
     Su un poggio, non molto lontano, primeggiava, come un nobile tra i popolani, la villa del barone Cappa.
     La molta acqua, che zampillava un po' da per tutto, dava alla contrada, ricca di prati di pioppi e di salici, un senso largo di pace e di freschezza.
     Vi si vedevano ruderi di antiche costruzioni, tra cui, su altro poggio, una torre, forse militare. La fantasia popolare, sempre fervida, faceva correre su di essa le pił strane leggende. Nel suo seno si raccoglieva il solito tesoro, che nessuno ancora, per mancanza di coraggio, era riuscito a portar via. Una notte, come pure si raccontava, alcuni animosi, scavando stavano per toccarlo, quando per una parola, che non dovevano pronunciare, intesero scuotere fortemente la terra, ed essi furono lanciati a grandi distanze.

     Nelle pareti di calcestruzzo vi si vedevano, ad ogni modo, impronte di monete, che vi erano state tolte.
     Molti vi avevano inteso di notte rumore di catene, e vi avevano visto in movimento strane ombre. Si credeva che gli spiriti infernali vi si dessero spesso convegno.
     Pochi, dopo l'Avemaria, s'avvicinavano al mistero di quella torre.


     Compiuto i sei anni anch'io andavo a scuola, nella contrada di S. Antonio, nelle vicinanze dell'Aquila. Dovevo percorrere, per giungervi, tre chilometri. Non costituiva nessuna fatica, data la mia buona volontą d'apprendere. Vi giungevo, anzi, che sapevo gią leggere.


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Umberto