Moriva, circondato da larga assistenza, in casa nostra. Mi č rimasta bene impressa la sua pallida figura, illuminata da quattro ceri, nella piccola camera, ed i funerali, con cui si conduceva alla tomba.
Era il primo morto che vedevo. Ne rimasi molto impressionato. Per qualche tempo, dopo il tramonto, mi pareva vederne l'ombra, sentirne lo spirito. Di notte passavo di corsa ed impaurito dinanzi alla stanza, dalla quale era uscito.
Altro personaggio importante, nella ricordanza, il nostro cane da guardia, Leone, con l quale giuocavamo. Aveva belle forme ed era di svegliata intelligenza. Tutto capiva, indovinava i nostri pensieri, e tutto da noi sopportava, carezze e maltrattamenti, con santa rassegnazione.
Di notte, nella sua vigilanza, nessuno poteva metter piede in quel nostro piccolo mondo. Ma non era sempre giusto. Di giorni i signori, riconoscibili dagli abiti, vi potevano circolare liberamente; i poveri, vestiti con stracci, no. Erano azzannati, se vi capitavano, e condotti, a viva forza, dinanzi al tribunale del padrone.
Anche a Leone la povertā appariva pericolosa!
Potevo avere cinque anni quando la famiglia si trasferiva all'Aquila.
Rammento i soliti amici che ci salutavano alla partenza. Nel passare a notte dalla cittā, in carrozza, dalla parte esterna, diretti alla stazione, mi s'offriva alla vista un altro quadretto della burlesca vita. Dal vano del pian terreno d'una casupola, debolmente illuminato, usciva di corsa, coprendosi la testa con le braccia, un uomo in camicia, inseguito, con un grosso bastone agitato in aria, da una furia infernale, in sembianza di donna.
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