T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Talvolta la cara sposa risaliva per diffondere attorno le notturne melodie del piano. Dopo si poteva pure parlare e parlavamo della nostra vita, sulla quale pareva che non dovessero mai sorgere nubi, mai operare col suo fluire il tempo.


     A Silvi tornavamo al tempo del raccolto e tornavamo nella nostra campagna, che giaceva su un poggio solitario, ricco di vigneti e d'ulivi. Da lassù si vedeva da un lato, in alto, Silvi paese, con la sua chiesa dal bianco campanile; dall'altro lato, sotto, con i cipressi, il campo dell'eterno riposo, che dava alla contrada un non so che di mesto; avanti, nel basso, il mare, con le tenui vele in movimento. E buoi bianchi qua e là, tra il verde e il bruno dei campi; biancheria al sole; svolazzamento d'uccelli; canti lieti della villanella. Ovunque religiosa poesia.

     Non avevano in casa i nostri buoni contadini né carta, né penna, né giornali, né libri. Non sapevano che farsene di questo tormentoso prodotto del civile vivere. Misuravano essi il tempo non dall'orologio ma, come gli antichi pastori, dal corso del sole, dal cammino delle stelle, dalla loro finissima percezione. Traevano oroscopi meteorologici e non sbagliavano dall'osservazione del cielo, dalla direzione del vento, dal movimento delle nubi, dal colore del mare, dal tramonto del sole.
     S'alzavano ogni mattina con l'alba. Usciva per primo di casa, come un rito, con la pipa accesa, per scrutare il cielo e trarne le previsioni della giornata, il vecchio padre. Dopo a mano a mano uscivano, mentre la luce si diffondeva, gli altri per i lavori della stalla, dell'aia, dei campi. Usciva anche la giovane massaia per le cure del pollaio e per altre domestiche faccende. Seguivano i marmocchini, padroni della casa, idoli del nonno, seminudi, robusti, con un bel pezzo di pane che addentavano gustosamente. Uscivano più tardi i buoi per l'abbeverata, e le pecore per il pascolo. La feconda macchina in tal modo era messa in movimento.


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Umberto