Viveva l'Italia, dopo Adua, inoperosa ed in mortificazione.
Le azioni, quindi, iniziate nel 1911, per l'occupazione della Tripolitania e della Cirenaica, spingeva, il volubile popolo italiano, ad entusiastiche manifestazioni. Adunate chiassose nelle piazze, bandiere al vento nelle case, fiaccolate nelle strade.
Tutti, dinanzi a questo improvviso risveglio, vedevano, commossi, tornare l'Italia, risolutamente, sulle vie di Roma.
Ogni uomo, valido alle armi, pareva che non volesse mancare alla gloriosa impresa. Anch'io, in relazione pure ai miei sentimenti, feci la mia calorosa domanda per parteciparvi. Non avevo risposta. Evidentemente non vi era particolare bisogno di combattenti.
Dopo non molto mi giungeva, invece, l'ordine di trasferimento da Grosseto ad Ascoli Piceno.
L'antica città di S. Emidio mi ricordava la famiglia della nonna, che da Ascoli derivava, ed il fratello padre Emidio, che vi era rimasto, quale provinciale, per qualche anno. Non mancavo di visitare, quando vi giunsi, religiosamente, il convento che lo aveva avuto capo, accolto dai religiosi con molto rispetto. Viva vi era ancora la fama della sua santità.
Vi conoscevo il pittore Augusto Mussini che, per i disinganni e gli affanni, patrimoni della povera vita, vestendo da francescano, vi s'era rifugiato.
Vi viveva però ancora inquieto. Era evidente che il saio non era stato sufficiente a dare pace al suo animo tormentato.
Città tranquilla Ascoli nelle sue torri, nelle sue chiese, nei suoi molti conventi; città che molto risentiva, nei suoi abitanti, nella sua antica nobiltà, la lunga soggezione al governo sacerdotale.
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