In quei ritrovi si leggevano le gazzette portate clandestinamente dal Piemonte, si commentavano gli scritti del Mazzini e del Cattaneo, severamente proibiti, si discutevano calorosamente gli argomenti politici del giorno, dopo di aver provveduto, già s'intende, al pericolo non immaginario di essere spiati o sorpresi dalla polizia.
Quasi tutti i patrioti, pavesi o studenti, erano più o meno mazziniani, come portava l'indole di quei tempi, in cui le tradizioni della Giovine Italia perduravano rigogliose, il periodo delle cospirazioni non era chiuso, e la fama del Mazzini splendeva fulgida nel cielo delle speranze d'Italia. Non mancavano però anche a Pavia i moderati, che aspettavano principalmente dal governo del Piemonte la salvezza, mentre noi altri confidavamo innanzi tutto nella iniziativa popolare.
I caffè della Posta, della Fenice, dello Svizzero, escluso il Demetrio messo all'indice perché frequentato dagli ufficiali, le bettole del Carini e della Capanna accoglievano i vari gruppi politici, i quali si stringevano senza esitazione in un solo fascio, quando si trattava di dimostrazioni solenni.
Non conto fra queste i fischi ai poliziotti, gli sgorbi sui muri con iscrizioni contro l'Austria, le canzoni bellicose (per le quali una sera venni arrestato anch'io); ma intendo per solenne la dimostrazione del marzo 1858, quando l'Università intera assistette alla messa celebrata nella chiesa del Gesù in suffragio dell'anima di Felice Orsini, giustiziato a Parigi. Gli organizzatori di questa cerimonia, un Travelli di Busto e un Morini di Venezia, non vennero mai scoperti dalla polizia, che dovette contentarsi di tormentare il povero vecchio prete, che aveva ufficiato senza sapere di che si trattasse.
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