Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Di Curtatone....

     e l'aria, che mi ritorna all'orecchio, mi provano però che quell'inno meritò l'obblio profondo in cui cadde.

     In seguito alla sfida gittata ai governi stranieri e reazionari della penisola col famoso discorso della corona del 10 gennaio 1859, avendo il re Vittorio Emanuele affrettati gli armamenti ed aperti gli arruolamenti dei volontari, la falange universitaria non esitò un istante, e deludendo la sorveglianza delle guardie austriache con l'aiuto dei patrioti scaglionati sul confine, si rovesciò in Piemonte. Io partii, naturalmente, come gli altri, ma senza fatica o pericolo, perché mio padre, che possedeva un passaporto per la famiglia, il 13 febbraio 1859, insieme con mia madre mi accompagnò oltre il Ticino, limite fra i Stati, a Varallopombia, donde m'indirizzai a Genova per raggiungervi un gruppo di condiscepoli, che mi avevano preceduto colà.

     Ci eravamo dato convegno a Genova, perché essendo noi decisi, in omaggio ai principii, a combattere sotto gli ordini di Garibaldi, e non sembrando allora ben indicata la destinazione dei nuovi corpi che si costituivano, né bene stabilito a chi verrebbero affidati, volevamo chiedere un parere ai più sicuri amici del generale, che colà dimoravano. E questi ci consigliarono a rimanere a Genova, e ad aspettare: il Bertani, perché non vedeva la situazione politica bene delineata, non fidando egli nelle intenzioni del governo riguardo a Garibaldi; il Medici, perché voleva pigliarci con sé nel corpo che gli sarebbe toccato di comandare, essendo noi un nucleo di giovani gagliardi e arditi. E noi, indecisi, rimproverati della nostra inerzia dalla coscienza e dall'esempio di tanti compagni già entrati nell'esercito, non sapendo che cosa risolvere, passavamo le giornate a tirar di sciabola nella sala d'armi, o a nuotare in mare alla spiaggia del Bisagno nonostante la rigida stagione, o a bisticciarci come avviene quando regna il cattivo umore, invidiando i profughi dei Ducati, i quali arrivavano a frotte dalla Spezia, e, senza tanti scrupoli, si avviavano a Torino ad indossare la divisa delle truppe regolari.


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Umberto