Giulio Adamoli
DA S. MARTINO A MENTANA
(Ricordi di un volontario garibaldino)


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     Mia madre, venuta subito a vedermi, con frasi coerenti alla sua incrollabile fede politica scrive: “fui a trovar Giulio. E' allegro, contento della sua risoluzione. E come non esserlo, colla coscienza più che soddisfatta? Il corpo di Garibaldi sta organizzandosi. Era il sogno suo e de' suoi compagni repubblicani, quello di mettersi sotto la sua bandiera. L'amor vero di patria chiedeva loro anche questo sacrificio. Fu fatto, con gioia...”
     Ed aggiunge la narrazione di un fatterello, che non so fare a meno dal ripetere con le sue parole: “Al comparire sulla piazza d'Alessandria di una massa di volontari non ancora vestiti dell'uniforme, osservai ad un popolano piemontese non essere possibile, che fino a quel giorno fossero solo tremila i volontari lombardi arruolati, quali li davano i giornali. Egli rispose: “È che nel 48 si diceva molto e si faceva poco; oggi si fa molto e si dice poco.” Aurea massima, che dovrebbe essere la divisa di quanti operano e lavorano in Italia.

     La impressione prodotta in me dal nuovo genere di vita, così diverso dal consueto, anche indipendentemente dall'entusiasmo che ci dominava, non fu affatto spiacevole. Il lavoro continuo, sano, energico, non dava tempo alle inutili fantasticherie; l'appetito si manteneva eccellente, sicché appena il tamburo batteva la barlocca ossia la fine dell'esercizio, ci precipitavamo come lupi dal cantiniere, che fece in quell'epoca affari d'oro. La manovra m'interessava e mi divertiva; e la idea di temperare il corpo a nuove fatiche e di rendere lo spirito indifferente alle piccole miserie dell'ambiente, mi andava a genio. La prova migliore che mi sommettevo di buona voglia a quel regime, sta nel non aver mai subita una punizione, nel non essere mai rimasto indietro in una marcia.


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Umberto