Nelle grosse borgate le manifestazioni crescevano d'importanza. A Treviglio, ove ci accantonammo, capitai in una casa, che non saprei più indicare, ma ove so che venni trattato cordialissimamente. A Brescia poi, quantunque molti altri reggimenti ci avessero preceduto, avemmo un'accoglienza consimile a quella di Milano. Pareva la nostra una marcia trionfale.
Durante queste ultime tappe ci trovammo a contatto, qualche volta, con gli alleati; ma talmente alla sfuggita, che la impressione da noi avuta dei soldati francesi non potè mai essere profonda e sicura. Quantunque l'aria di superiorità che pigliavano con noi, c'invitasse poco alla simpatia, pure era facile riconoscere in essi l'animo generoso, la intelligenza, la disinvoltura. Gli zuavi specialmente, nel loro costume teatrale, con quelle loro facce energiche ed abbronzate, ci colpivano pel modo con cui sapevano arrangiarsi, e per le loro facoltà inventive. E più di una volta comprammo della carne agli ammazzatoi da essi improvvisati, e ci divertimmo allo spettacolo dei fantocci con cui intrattenevano il loro campo.
Però mi fe' specie il vedere di quanti ritardatari seminassero la strada, con quanta indifferenza si sbandassero giungendo alla tappa, e quale mediocre attenzione prestassero alla voce dei superiori.
Del loro coraggio, anzi della loro temerità nell'azione, non si discute neppure. I commilitoni di altri reggimenti nostri, i quali avevano combattuto a fianco dei francesi, quando se ne ragionava a guerra finita nei cameroni della caserma di Novara, raccontavano di essi cose straordinarie. Quelli della brigata Regina non avevano parole per magnificare gli atti di valore compiuti a Palestro, sotto i loro occhi, dal 3° zuavi. Ma non posso insistere su l'argomento, perché le mie osservazioni personali, delle quali qui solo rendo conto, sono affatto insufficienti.
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